Massimo Baraldi: attitudine punk su carta
A vederlo non è che ti dia esattamente l’immagine di un sovversivo e forse nemmeno vuole esserlo, ma vi assicuro che Massimo Baraldi ha un’attitudine punk non indifferente; per questo ha tutta la nostra stima.
LB: Mettiamo subito le cose in chiaro! Chi sei?
MB: Un volgare scribacchino, e di poche pretese… basta che ci sia da scrivere e sono contento! Ho tradotto “Per la voce” di Majakovskij, pubblicato un romanzo e alcuni racconti, mi divertono i progetti multimediali o che quantomeno prevedono l’incontro di forme espressive diverse. Pensa che tempo fa ho conosciuto un ottimo disegnatore e ho buttato giù pure una sceneggiatura per fumetti… ehm, Luca, non è che tu ne sai qualcosa? [N.d.L. io?!]
LB: Quand’è la prima volta che ti è venuta la voglia di scrivere una storia?
MB: È stato tanto tempo fa… ero inguaiato ma troppo lontano da casa per trovare qualcuno che avesse voglia di starmi a sentire e così, non sapendo che altro fare, ho cominciato a dare una forma alla robaccia che mi frullava per la testa: tutto quanto si è ritrovato sulle pagine, d’un tratto, e in balia della mia penna. È stata una gioia cestinarle, la cosa mi ha fatto sentire decisamente meglio e da allora non ho più smesso.
LB: Parlaci un po’ del tuo romanzo “One for the road”! È stato ideato per piacere a un certo tipo di lettori? Com’è stato accolto dalla critica?
MB: Se quando scrivi pensi al pubblico perdi di vista quello che stai facendo. Molti artisti oggi applicano una sorta di “censura preventiva” nel goffo tentativo di omologarsi a non si sa bene quali regole… è un peccato, perché un atteggiamento di questo tipo non può avere altra conseguenza che un appiattimento delle proposte. Poi, sai, se sei un piccione puoi impiastricciarti di colori finché ti pare, ma questo non farà di te un pappagallo: meglio cercare di essere sinceri con sé stessi ed esprimerci come ci viene naturale fare, sarà poi il pubblico a stabilire il valore di un’opera in base alla sua capacità di emozionare. Quanto al romanzo, non è altro che il “Soliloquio da bancone in 19 giri e un brindisi” di un personaggio che non ha né nome né volto al bancone di un bar inesistente, e del suo ritrovarsi infine a dover fare i conti con la realtà. One for the road era il brindisi che spettava ai condannati a morte durante il tragitto che li separava dalla prigione alla forca, in Inghilterra… oggi indica semplicemente il “bicchiere dela staffa”.
LB: La prefazione è stata scritta da Jack Hirschman; hai voglia di raccontarci in due parole chi è, cosa ha fatto e come vi siete conosciuti?
MB: Jack Hirschman è stato il professore di lettere di Jim Morrison fino al giorno in cui ebbe l’idea di mettersi a dare il massimo dei voti a tutti gli studenti per farli stare a casa dal Vietnam… e così lasciarono a casa pure lui. Attività sovversiva, la motivazione ufficiale. Da allora diventò un poeta a tempo pieno, al fianco di Ginsberg, Corso e gli altri della beat generation… ma non era quello il tipo di rivoluzione che gli interessava per una sua strada fatta di impegno sociale e politico, divenendo un “poeta popolare” nella tradizione di Majakovskij e Pasolini. Oggi è considerato uno dei più importanti poeti a piede libero. È stata la passione comune per Majakovskij ad avvicinarci, ma non avrei mai pensato che sarebbe nata un’amicizia. Ancora oggi fatico a credere che un personaggio del genere abbia scritto la prefazione del mio romanzo, sinceramente!
LB: Ti senti più vicino ad un certo modo di scrivere rispetto che ad un altro [mi riferisco soprattutto al particolare modo in cui usi la punteggiatura e le pause]?
MB: Apprezzo la scrittura che segui schemi ritmici, più che letterari. La parola è suono, il suono musica. Credo che se mi fosse riuscito di imparare a suonare non mi sarebbe mai passato per la testa di scrivere.
LB: Libri preferiti? Autori preferiti? Case editrici preferite? Dopo che mi hai fatto scoprire “Meridiano Zero” ho rivalutato moltissimo i viaggi in treno e le lunghe file!
MB: Leggo molti fumetti, da Andrea Pazienza a Frank Miller, dai Freak Brothers a Calvin & Hobbes. Tra gli scrittori citerei Céline e Keroauc… un buon libro che ho letto recentemente è “Una banda di idioti” di John Kennedy Toole, politicamente scorretto quanto basta e pubblicato da Marcos y Marcos. Poi, come sai, ho una fiducia incondizionata nel catalogo Meridiano Zero, uno dei pochi non allineati.
LB: Un po’ per scelta e un po’ per forza di cose nella tua carriera di scrittore hai avuto a che fare con l’autoproduzione [la prima versione di “One for the road” con la copertina in ferro ma anche altri tuoi racconti]… come vedi questo modo di proporsi? È solo una tappa per cominciare a far sentire la propria voce o può essere un chiaro segnale di libertà da censura e leggi di mercato? Attitudine punk portata su carta…
MB: Il punk è stato l’ultimo grande movimento in grado di dare uno scossone all’industria culturale. La carica eversiva di fenomeni come la psichedelia, il be-bop o il rockabilly è stata lentamente metabolizzata dalle major… lo stesso non si può dire del punk, che quantomeno ha lasciato dietro di sé l’attitudine a creare delle alternative sbattendosene del sistema. Il risultato lo vediamo nel costante fermento creativo che caratterizza molti centri sociali, e dal fatto che lo stesso non sia rilevabile in luoghi istituzionali. Il mercato ha delle regole, che valgono anche per prodotti letterari o musicali, se la tua idea non è conforme e hai abbastanza coraggio da essere disposto a scommetterci sopra, fai prima a provare a crearne uno alternativo che a cercare di cambiare quello esistente.
LB: Sai bene l’inglese e il russo e sei decisamente un appassionato di cinema; tutto questo che apparentemente non c’entra un cazzo è per farti la seguente domanda: i film doppiati in italiano [salvo rarissimi casi] sono una merda [ormai l’ho capito anche io]; da accanito lettore saccente quale sei trovi che anche nel caso dei romanzi la qualità si perda nel passaggio tra la lingua originale e l’italico idioma?
MB: Leggere una traduzione è come mangiarsi dei tortelli di zucca in Tagikistan: con tutto il rispetto per i cuochi tagiki, che non conosco affatto, dubito fortemente che possano competere con quelli mantovani. I sapori si perdono per strada, è inevitabile, e il cuoco ci mette del suo in caso non riesca a cavarsela altrimenti. La traduzione è sempre arbitraria, il traduttore si arrabatta come può, decidendo se privilegiare il senso, il ritmo, la musicalità del testo… ma la scelta di una qualunque di queste variabili andrà a scapito delle altre. Parlando della traduzione di Majakovskij, per esempio, ho confrontato tutte le versioni disponibili: alcuni versi sono stati di volta in volta stravolti, omessi, modificati… per servilismo nei confronti del regime di turno, o anche per semplici “ragioni tecniche”… che tanto non è che siano in molti ad andare a controllare!
LB: Tra le tue mille attività collaterali [più che altro per la tua salute psichica] vanti anche quella di inviato – intervistatore per un’associazione musicale locale; ho visto che hai intervistato il bluesman Mudcat… me ne hai spesso parlato ma non hai mai approfondito troppo il discorso… che tipo è? Che impressione ti ha fatto? Per caso c’entra qualcosa con un certo patto con tipetto rosso con la cosa e le corna?
MB: Mudcat è un ottimo chitarrista di Atlanta GA, l’ho conosciuto anni fa dopo un concerto… qualche brindisi e già eravamo amici per la pelle, ancora un paio e ci siamo ritrovati stipati in cinque sulla mia vecchia Clio, con tende, zaini e strumenti musicali al seguito a fare qualche migliaio di chilometri su e giù per l’Italia. È stato fantastico, semplicemente! Una specie di Muppets Show motorizzato in chiave blues! Nemmeno le portiere potevamo aprire, bloccate com’erano da un ingegnoso sistema di corde, e quindi le soste andavano programmate con un certo anticipo. Il diavolo, dici? Mah, mi sa che se mai ha avuto a che fare col nostro “pescegatto” ormai si sarà impantanato in qualche stagno… mica è facile stargli dietro! Vederlo in azione è stupefacente, il blues è davvero la sua vita.
LB: So che hai voluto invadere anche il palcoscenico con delle rappresentazioni teatrali… cosa, quando e perché?
MB: Sarà che la pagina mi sta un po’ stretta! “One for the road” è un monologo, e come tale si presta a essere interpretato da un attore. Ho stravolto il testo, creato una riduzione teatrale e il volto del personaggio è diventato quello di Gianni Sala; Giovanni Bataloni ha composto le musiche, Mauro Antonazzi è il nostro percussionista, Enzo Santambrogio cura le scenografie e tutti stiamo a sentire cosa ci dice Marco Tosi, il regista. Questa è la formazione base, ma allo spettacolo parteciperanno anche altri musicisti: l’idea è di avere una struttura definita ma estremamente flessibile, in modo che ogni nuova rappresentazione possa essere diversa dalla precedente e adattabile anche a spazi non convenzionali. Dovremmo essere pronti per l’estate, salvo complicazioni…
LB: Hai altro da aggiungere? Consigli per gli acquisti? Fine. Grazie mille. Luca
MB: Consigli per gli acquisti? Dopo aver comprato le mie robe, dici? Be’, sicuramente “Cosmix Bandidos”, di A.C. Weisbecker. E l’opera omnia di Andrea Pazienza, toh. Grazie a te, ciao Luca!
Luglio 2007, ©Luca Battaglia
[Yety meets Autumn: Libretto di propaganda musicale, artistica, animale n°2]