Scribacchino di poche, ma luminose speranze

Si autodefinisce così, con molto humour, Massimo Baraldi, romanziere e traduttore dal russo. Un libro, One for the road, una riduzione teatrale e una mostra. A colloquio con lo scrittore, comasco d’adozione. La prima, particolarissima edizione, con la collaborazione dello scultore Enzo Santambrogio e la copertina del pittore Enrico Cazzaniga. La collaborazione con Andrea Carlo Ripamonti per la messa in scena. Le musiche di Giovanni Bataloni.
Massimo Baraldi è autore del romanzo One for the road pubblicato nel 2005 dalle Edizioni del Foglio Clandestino, con la prefazione del poeta americano Jack Hirschman, un’icona vivente della beat generation. Ma non solo. Questo ragazzo della bassa modenese, che abita da anni nel comasco e parla almeno tre lingue correntemente oltre all’italiano, è anche il traduttore dal russo di una chicca letteraria. Si tratta di Per la voce di Vladimir Majakovskij, il libro progettato da El Lissitskij (pittore, architetto, grafico e squisito tipografo) e ripubblicato da Ignazio Maria Gallino, che ottiene il “Premio nazionale Gianfranco Fedrigoni per l’editoria di pregio” nel 2003.
Si definisce “uno scribacchino di poche, ma luminose speranze” e riconosce di non essere da solo nell’avventura creativa perché a volte spunta qualche tipo curioso a fargli compagnia. Infatti One for the road è un progetto di ampio respiro che vede il coinvolgimento di più artisti: include le serigrafie di Enzo Santambrogio e il quadro di Enrico Cazzaniga, realizzato per la copertina, esposti in dicembre alla galleria d’arte AMT di Como. Qui c’è anche stata l’anteprima della riduzione teatrale del libro, scritta da Massimo Baraldi e Andrea Carlo Ripamonti, con la performance dell’attore Giovanni Sala accompagnato dal percussionista Mauro Antonazzi. Per il 3 marzo è prevista un’altra mostra, alla sala consiliare del Comune di Grandate, con le opere d’arte ispirate al libro e, alle 21:00, la presentazione dei singoli tasselli del variegato progetto. L’evento è curato da Marco Cambiaghi e Alberto Peverelli della Biblioteca di Grandate.

SB: Massimo Baraldi, ci può dire qualcosa del sottotitolo di One for the road: “Soliloquio da bancone in 19 giri e un brindisi”?
MB: One for the road significa letteralmente: uno per la strada. È un brindisi tradizionale anglosassone che alla strada offre l’ultimo bicchiere della serata e diventa il pretesto per costruire una storia, in 19 giri e, appunto, un brindisi. La lunga notte del protagonista trascorre nel raccontarsi al bancone di un bar. Un giro dopo l’altro, in una grottesca e dolorosa estrusione.

SB: Come si dipana la trama?
MB: C’è un protagonista senza volto, un bar senza nome, la nebbiosa terra di nessuno tra il sogno e la realtà: questi gli elementi della cronaca di una caccia crudele in cui i tratti del cacciatore si confondono e sovrappongono a quelli di chi è braccato… dove il lettore si trasforma in interlocutore. Così potrei descrivere l’idea alla base del romanzo.

SB: Quando viene pubblicato il romanzo per la prima volta?
MB: Nel novembre 2002 con la collaborazione dello scultore Enzo Santambrogio, in una speciale edizione di 100 copie numerate e 20 prove d’autore: copertina in ferro, trattata con acido e incisa a laser, carta in fibra di cotone, dorso in cuoio e rilegatura in viti e bulloni. Contiene 12 serigrafie, tirate a mano, una a una, e successivamente colorate con prodotti alcolici da bar. Il quadro per la copertina del pittore Enrico Cazzaniga, è stato realizzato con candeggina, smalto stradale e pastello su fustagno nero in dimensioni 18 x 25 cm.

SB: Da quale presupposto nasce la riduzione teatrale di One for the road?
MB: L’attore non sarà davvero solo, in quanto dovrà interagire con i musicisti e col suo diretto interlocutore, il pubblico. L’interprete manterrà comunque una forma di espressività autistica, proseguendo per la sua rotta, seppur con la libertà di qualche deviazione che renderà lo spettacolo ogni volta diverso: il testo è stato pensato per offrire questa possibilità interpretativa.

SB: E la scena?
MB: Quanto alla scena, l’idea è di provare a sovvertire la consueta prospettiva spettatore-affabulatore, che ci restituisce un tipo di comunicazione a senso unico, con il pubblico da una parte e dall’altra un enorme, informe soggetto passivo: in One for the road – Soliloquio da bancone in 19 giri e un brindisi il protagonista senza nome si confronta e confonde con il pubblico, provocandolo, insultandolo, coccolandolo e strapazzandolo senza dargli tregua alcuna. Nel suo sincopato soliloquio lo afferra e trascina in un estenuante viaggio lungo la linea di confine tra dissennatezza e ragione, onirica visione e cruda percezione.

SB: Che apporto danno le musiche d’ispirazione jazz del compositore Giovanni Bataloni?
MB: Accompagnano la narrazione, cadenzandone il ritmo, donandole respiro, alternandosi a momenti in cui sono invece le note a trascinare le parole. Lo spettacolo è stato pensato per essere portato in teatro così come in spazi meno convenzionali. La scenografia è scarna, essenziale: un palcoscenico vuoto, con solo un bancone da bar intorno al quale far muovere l’attore. Nulla è reale nel monologo del protagonista. I nomi dei personaggi da lui citati vengono dai fumetti o non hanno alcuna rispondenza con il reale. Anche il mondo descritto è impossibile: basteranno le parole e la gestualità dell’attore a rappresentarlo, unitamente all’uso appropriato delle luci.

SB: Come si incrocia la sua vicenda con quella di Jack Hirschman?
MB: Io e Jack ci siamo conosciuti per caso. Ho organizzato per lui un reading a Como e quando ha visto la mia traduzione del libro di Majakovskij, che aveva cercato da una vita senza successo, non credeva ai suoi occhi. Ha letto One for the road e si è entusiasmato. Che altro dire di lui? Jack Hirschman è stato il professore di Jim Morrison poi è stato cacciato dall’università per attività sovversiva. È un rappresentante di spicco della beat generation. Considerato uno dei maggiori poeti viventi americani, si divide fra la California, l’Inghilterra e l’Italia. Ha tradotto più di trentacinque opere di poesia da otto lingue.

© Stefania Briccola

[Da “Broletto” n°83, edizione inverno 2005 – 2006]